lunedì 19 gennaio 2009

Non guardare il dito...

...guarda la luna!

Per introdurre un certo discorso sul Tango, questa potrebbe sembrare una frasa un po’ bizzarra, ma alla fine capirete che non lo è (qualcuno ha già comunque intuito dove voglio arrivare).

Mi tocca scomodare l’ormai più che logoro proverbio Zen, non trovando in questo momento frasi più belle ed efficaci (ma, si sa, il classico non tramonta mai).

Per descrivere cosa è il Tango, vorrei partire da ciò che il tango non è, cioè da tutte quelle opinioni e sentimenti che invece fanno parte dell’immaginario collettivo pilotato dalla pubblicità, dalle mode, dai desideri più o meno inconsci appartenenti per lo più a chi lo vede dall’esterno e in maniera quindi necessariamente superficiale (ma ci sono anche purtroppo tanti “praticanti e praticoni” frequentatori anche assidui di milonghe che coltivano il medesimo approccio), insomma l’idea del tango che hanno quanti guardano “il dito”.

Qualche esempio concreto, per similitudine.

Così come lo studente (la docente che c’è in me trapela in ogni istante) spesso non segue la lezione pensando ai concetti più o meno difficili, più o meno affascinanti che chi gli sta di fronte gli presenta, ma (quando proprio non pensa agli affari suoi) ascolta l’insegnante facendosi distrarre dal suo tono di voce, il tipo di abbigliamento, eventuali tic; è pronto a coglierlo/a in fallo nella sintassi, attende con ansia un eventuale sputo di saliva, un inciampo mentre va alla lavagna, misura i decibel prodotti quando il prof. si soffia il naso, allo stesso modo molti (troppi!) quando vanno in una milonga non ascoltano la musica, ma passano ai raggi x i ballerini, contano quante e quali figure propongono, misurano in centimetri l’altezza del boleo, passano al goniometro l’angolo di rotazione del giro, calcolano la velocità media percorsa in pista ( guarda com’è veloce! Bravo! E quanti ganchos!) .

In pratica molta gente si avvicina al tango pensando che consista in una serie di passi, più o meno come lo studente (perdonatemi l’ennesima similitudine scolastica) pensa che la storia sia una serie di date da imparare a memoria per l’interrogazione. E comunque anche dopo tanto studio non riesce a sviluppare una coscienza politica.
E’ come l’uomo semplice che si esalta davanti al suo politico preferito e ogni qual volta questi tira fuori un slogan, o fa un gestaccio, è un coro di applausi e ovazioni. “Come parla bene, e che enfasi! Non ho capito il senso profondo del discorso ma vuoi mettere il carattere della sua eloquenza?”

Il tango, come tutte le culture che hanno radici profonde, richiede tempi lunghi di apprendimento, assimilazione e maturazione.
E’ una musica che parla e si può esprimere in una danza di coppia che si realizza a partire da un abbraccio e procede tramite un “camminare insieme” le cui modalità sono determinate dalla creatività dell’uomo (1) che marca e della donna che “ascolta”, suggerisce, abbellisce. Il tango non può essere ridotto a figure e passi esattamente come in un rapporto erotico non è questione di posizioni, ma di dialogo e intesa.















Il bravo maestro di tango, dopo averti istruito sui cosiddetti “passi base”, passa all’ascolto della musica, cerca di far percepire le caratteristiche dei diversi ritmi e stili, insegna come dialogare con la donna usando l’energia che si sprigiona dal tuo baricentro, guidata dalla suggestione di una melodia e un ritmo irresistibili.

Chi ha conosciuto la vera ebbrezza del tango prova sconforto e spesso disgusto nel vederlo ridotto a prodotto commerciale nella chiave di arma di seduzione un po’ machista fatta di sguardi melliflui e casqué (2).
Ma, che ci vogliamo fare? E’ così per tutto.



(1)Ormai nel politically correct non si parla più di uomo e donna nel tango ma di conductor e follower.
(2)Consiglio la lettura di un libro spiritoso sull’argomento: Il Tango è una storia d’amore e non una rosa in bocca – di Pier Aldo Vignazia.

L'immagine appartiene alla collezione di Falsi di Tango dell'artista Arobranca.

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